La Paris-Dakar 1990 con la SuperTénéré ufficiale

, , ,

Il sogno e la sfida. Così come nella visione del suo ideatore Thierry Sabine, il rally più avventuroso del pianeta era diventato la meravigliosa leggenda per chi a casa sognava, ed una magnifica sfida per chi osava misurarsi, su un ferro a due ruote o a bordo di un’auto o di un camion, con quel mare di sabbia teatro di imprese infinite. In una Parigi gelida, ma luminosa ed ammaliante, vestita del luccicante abito delle feste e dei regali, ogni anno dopo Natale si ripeteva il rito della partenza, parata d’onore lungo i viali della con Ville Lumière. Per tutti la promessa di arrivare laggiù, a quella spiaggia a pochi chilometri da Dakar, tra il Lago Rosa e le onde dell’Atlantico dove si tuffavano gli eroi.
Fu dalla metà degli anni 80 ed in una prima parte del decennio successivo che la Paris-Dakar più genuina visse il momento della sua massima popolarità: narrata in televisione, scritta sui giornali, raccontata tra cronaca sportiva e leggenda, la corsa, che già nel 1986 aveva pianto il suo condottiero Sabine caduto col suo elicottero nel corso della gara, contendeva le scene ed il primato di popolarità a molti altri sport non solo motoristici. Le grosse mono enduro dakariane occupavano già una gran fetta di mercato e dettavano lo stile in città. Le case motociclistiche si impegnarono progressivamente nel deserto in modo ufficiale con mezzi performanti: vincere la Dakar era un colpo grosso che condizionava in modo autorevole le vendite.

Così, se nelle prime edizioni le moto, tutte preparate artigianalmente, erano addirittura stradali tassellate ed adattate a scrambler, ciò che si vedeva in gara qualche anno dopo tra le fila dei top team delle varie case erano mezzi sviluppati ad hoc dal reparto corse: ferri speciali e molto ufficiali che andavano a braccetto sì con la produzione di serie, ma che sotto il vestito quasi simile a quello cittadino montavano ciclistica, motori e parti uniche da competizione dura e pura. La Yamaha, che nei primissimi anni si era imposta con moto private all’altezza della situazione (la prima edizione fu vinta da Cyril Neveu su una XT 500), aveva raccolto successivamente buoni risultati con i suoi leggendari mono, ma solo nel 1990 decise di adeguarsi alle scelte tecniche della concorrenza: un po’ in ritardo rispetto a Cagiva, Honda e BMW – che con il suo boxer fu la prima a vincere nel 1981 con un bicilindrico – presentò la sua prima twin alla Paris-Tripoli-Dakar 1990.

La YZE 750 T OWB8, già testata al Rally dei Faraoni, arrivò dal Giappone in quattro esemplari: due per la squadra corse ufficiale francese YMF Sonauto e due per il team italiano BYRD (Belgarda Yamaha Racing Division). Quelle due moto non erano però sufficienti per la formazione di casa nostra che contava su un tridente di lusso formato da Andrea Marinoni ed Angelo Signorelli, e dalla punta Franco Picco che già aveva infilato due secondi posti, un terzo ed un quarto nelle precedenti edizioni. In più il contratto con lo sponsor tabaccaio non ammetteva deroghe alle tre moto in gara, pertanto in BYRD si fece della necessità un’occasione, allestendo la terza bicilndrica che venne sviluppata direttamente in Italia partendo dalla base della XTZ 750 Super Ténéré in commercio. Una special coi fiocchi che attinse a piene mani dalle parti speciali arrivate dal Giappone, rimanendo però la vera derivata di serie. La XTZ 750 vitaminizzata fu affidata ad Angelo Signorelli, regolarista delle piccole cilindrate, campione italiano ed europeo 125 enduro, debuttante alla Dakar 89 col monocilindrico e fresco vincitore in Perù dell’Incas Rally in sella alla TT600 nel giugno di quello stesso 1989.

Non c’era tantissima differenza di velocità dalla bicilindrica ufficiale, lo scarto era di una manciata di chilometri o poco più. Si andava forte davvero! Io venivo dall’esperienza ai Faraoni col monocilindrico dove mi ero difeso al terzo posto fino ad una brutta caduta nella penultima tappa. Mentre nella Dakar prima, nell’89, sempre col mono stavo tenendo un buon passo, ma ad un certo punto della gara mi trovai nel corso della tappa marathon a dover cedere un po’ di pezzi della mia moto a Cyril Neveu che era caduto ed aveva distrutto la strumentazione, un serbatoio ed il mono: lui era davanti a me in classifica e questa è la giusta regola del gioco di squadra alla Dakar! Arrivai al Lago Rosa quindicesimo.

Angelo Signorelli

Nella Dakar 1990 la squadra BYRD, pur con le nuove armi bicilindriche, non riusci ad andare a segno con un buon risultato: Picco chiuse quinto, Signorelli sedicesimo e Marinoni si ritirò.

Signorelli ha incontrato nuovamente dopo lungo tempo la “sua” Yamaha bicilindrica in occasione del nostro servizio presso il museo privato degli appassionati amici di Dune Motor: proprietari per pura passione di un vero tesoro costituito dalle moto che hanno fatto la storia africana della casa di Iwata, Filippo Colombo, tecnico prima di Yamaha Italia ed ora di Yamaha Motor Europe, ed Angelo Caprotti, ex dipendente della casa giapponese, hanno riportato ad antico splendore alcune delle più belle macchine dakariane, tra cui questa 750. La moto è sta recuperata in Spagna presso un motociclista che, dopo averne coperto i colori con una verniciatura anonima la utilizzava per viaggi turistici in Africa (!!).

La moto, uno dei gioielli più brillanti di casa Dune Motor, è stata ricostruita nella sua condizione originale partendo dalle fotografie del tempo e dalle indicazioni di chi l’ha avuta tra le mani ai tempi della gara. La base, come già scritto, è la conosciuta endurona Super Ténéré col twin parallelo settemezzo, prodotta dal 1989 al 1998, di cui ancora oggi vediamo ancora in giro tanti esemplari. Il motore, per il quale era dichiarata una potenza di serie di circa 70 cavalli, non era stato praticamente modificato, mentre il telaio aveva subito notevoli interventi di rinforzo lungo tutto il perimetro dei tubi ed una sostanziale modifica nella parte dietro dove trova posto il serbatoio posteriore realizzato in blocco unico portante su cui si fissa direttamente la sella più corta ed imbottita.

Il serbatoio sdoppiato accoglie tra i suoi due gusci la cassa filtro spostata in alto con una bella struttura di alluminio dotata di un elemento filtrante in carta preso da un’automobile; bella la presa rialzata e orientata in direzione di marcia.

La forcella è una Kayaba ufficiale prelevata dal monocilindrico ufficiale del 1989, da notare il particolare diffusamente utilizzato nelle moto da gara dello sgancio rapido del perno. Le ruote e l’impianto frenante fanno parte della dote ufficiale giapponese, mentre il forcellone è l’originale copiosamente rinforzato e dotato di leveraggi fatti a mano. La moto così allestita e con un pieno di 60 litri dei suoi tre serbatoi, sfiora i 270 chili.

Purtroppo, per scelte strategiche di varia natura, la bella special costruita in Belgarda (società importatrice a quel tempo del marchio Yamaha) è stata un esemplare unico. Negli intenti iniziali si dice fosse stata invece pensata dal reparto racing come prima di una piccola serie destinata ai piloti privati.

DUNE MOTOR

  • testo di Massimo Tamburelli
  • foto TambooGarage
  • pubblicato sulla rivista Ferro magazine nel 2018