Fabio e la 6T ritrovata

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Il tesoro è rimasto lì, in quell’angolo dell’isola, per qualche tempo dentro un container arrivato dal Sudafrica: da quella porta del cassone metallico non chiusa bene, fin dove filtrava la luce si potevano avvistare ruote, gomme e particolari di ferri a motore che promettevano tanto di buono.
È lì che l’occhio di Fabio si intrufolava quando passava dal casale dove tante volte è recato per fare il suo lavoro di agronomo.

La storia racconta che tutta quella magnificenza nascosta era parte del bagaglio di un tecnico che lavorava forse nelle miniere d’oro: partito dalla Sardegna, emigrato in Olanda e poi arrivato alla punta estrema del continente africano, il perito, che forse era anche ingegnere, era appassionato di moto inglesi e sicuramente, come capirete, era irretito dal mito di Steve McQueen. Anni dopo questo suo giro per il vecchio mondo, facendo ritorno sull’isola verso la fine del secolo scorso si era portato a casa quel bendidio che – ci piace immaginare – aveva utilizzato per vagare tra bush ed altopiani.

Un giorno ho chiesto di poter dare un’occhiata dentro il container ed è stato esattamente come aprire il baule delle favole: affiancatenel buio c’erano un’altra Thunderbird del 56, due BSA, ed una Husqvarna 400 del 76 … come quella di Steve. E poi c’era lei, che da vedere sembrava la più malmessa di tutto il parcheggio celato, ma in realtà era tanta abbondanza!

E’ stato così che Fabio Desole, 45 anni di Alghero, pilota di motocross e supermotard nei primi anni duemila, rapito dal fascino del ferro nobile delle moto inglesi ed in generale delle moto che raccontano storie belle, ha sbattuto contro questo illustre esemplare di Triumph Thunderbird 6T con un trascorso da romanzo.

La passione per il ferro datato circolava nelle sue vene già negli anni 90 quando uno zio di Rovigo gli aveva regalato una vecchia Lambretta 125:

Quarantasei pezzi sparsi per l’officina, da sabbiare e rimettere in sesto … però il lavoro è venuto bene!

E poi a stimolare l’appetito british c’era quel tizio di Alghero che girava orgoglioso con una BSA Spitfire del 62 che faceva gola a Fabio, ma non è mai riuscito a farsi vendere …

Alla fine della prima parte della nostra storia la leggendaria Triumph 6T è arrivata a casa dell’agronomo, acquistata dopo qualche trattativa: non un pezzo qualunque, e non solo per la sua provenienza africana. Telaio “duplex” con rinforzo per l’utilizzo dal polso pesante, carburatore singolo Amal 376 vaschetta laterale, scarico 2 in 1 della TR6, ed il bicilindrico 650 che dalla targhetta di identificazione lo faceva risalire al 1960: già così la moto era uno spettacolo, ed i segni lasciati dall’utilizzo in quelle terre lontane non facevano che accrescere il valore e l’anima del mezzo.

Ho capito che dovevo solo spolverarla, esaltare la sua storia, i suoi graffi, la sua ruggine, i suoi particolari irripetibili, ed ho compreso però che il suo destino era probabilmente quello di diventare una desert sled come quelle che usavano negli anni 60 per le corse nel deserto californiano.

I particolari c’erano tutti, a partire da quel telaio doppia culla con la parte posteriore imbullonata, usato in quel tempo negli States, e quell’aria vissuta che non chiedeva altro che una trasformazione nel pieno rispetto del suo stile unico e irresistibile.

Per poco tempo la moto è rimasta in versione stradale senza grosse modifiche; il primo intervento è stato fatto sull’impianto elettrico, passato da 6 a 12 volt, ma progressivamente l’idea “desert” ha preso forma

La cosa più importante era non tradire la sua originalità, la sua storia nobile: ho voluto trasformarla usando i suoi pezzi, rigenerandoli, oppure recuperando parti originali dell’epoca o addirittura costruendoli a mano. Per avere una 6T che sembra catapultata qui dall’altro ieri ho lavorato di olio di gomito, pazienza e ricerca di tutto. Persino i soffietti, che potevo comprare nuovi con pochi euro sono invece i suoi rigenerati con olio e WD40.
Il ferro è diventato favola, pezzo dopo pezzo, aggiungendo particolari scovati con pazienza: il serbatoio originale da 4 galloni è stato sostituito con quello da 2,5 di una vecchia Bonneville destinata al mercato americano, i fregi sono originali d’epoca presi da uno specialista di ricambi inglesi, la sella col fondo fatto a mano in vetroresina è stata realizzata da un amico tappezziere sacrificando un giubbotto in pelle …
La forcella originale ha ricevuto un adeguato sostegno dalla sostituzione delle molle con un prodotto moderno e più performante, i due Girling posteriori da 35 hanno lasciato spazio a Koni da 36. Le ruote hanno abbandonato i cerchi in ferro a favore di un paio di Akront a 40 raggi gommati con Mitas E-05 nella misura 4×19 che, come dice Fabio, “riempie soprattutto il retrotreno”.

Sull’impianto di motocross di Fertilia, non lontano da casa sua, Fabio sale in sella e con un calcio preciso accende la sua Triumph, dallo scarico esce un sound roco da sogno.

L’ho fatta così perché la volevo da usare sul serio, quindi ogni tanto vengo qui dagli amici del Moto Club Portoferro, sulla loro pista. Le moto così correvano nei deserti d’oltreoceano e sarebbe un peccato non usarla per davvero anche qui in Sardegna. Non l’ho fatta certo per tenerla in un museo, la sua vita è questa! Ogni tanto ci faccio enduro, e voglio portarla in gara, infatti mi sono iscritto alla prossima prova di Trofeo Scrambler che si corre a luglio a Sinnai, poi ho qualche altro programma …

Quando rientra nel suo garage (perfettamente in stile con la sua 6T), accarezza e spolvera il ferro avendo cura di non togliere molto di quel vissuto che contribuisce non poco al fascino speciale della moto che a questo punto ha ammaliato anche noi. Poi la ripone tra i suoi altri ferri che raccontano buone storie: una Sportster 883 Iron sulla quale, oltre a tante modifiche, ha trapiantato un carburatore al posto dell’iniezione “perché è più bella così”, una Ducati Monster S4 trasformata con cupolino, codino e dalle forti contaminazioni Joe Bar Team, una Triumph Tiger del 1971 perfettamente originale ed una Husqvarna WRK del 1988 in procinto di diventare qualcosa di speciale.

La Tiger non la tocco, ci mancherebbe: è già bellissima così! Mentre invece la Husqvarna non ho ancora capito bene quale modello sia di preciso perchè alcuni pezzi non combaciano con quelli della dotazione dell’epoca. Ho chiesto ad un amico di Reggio Emilia che mi ha dato il numero di un esperto ligure di questa marca: lo interpellerò; comunque vorrei farne una replica ben fatta.

  • Testo di Massimo Tamburelli
  • Foto courtesy Andrea Caredda
  • Pubbicato su FERRO MAGAZINE